Maurizio Patricello, Avvenire 22 marzo 2025
È primavera; gli alberi, profumati, si sono già vestiti a festa. In campagna, fanno bella mostra di sé, tronchi, rami, fiori, foglie di ogni colore, forma, dimensioni. Se solo potessimo fermarci, perdere tempo, guardare e ascoltare che cosa accade attorno a noi e dentro di noi.
La corsa alle armi a tanti fa paura; “è vero, ma è necessaria”, qualcun altro, afferma. Il dramma è che hanno ragione entrambi. Se il nemico, armato di fucile, ti arriva in casa mentre i tuoi figlioletti dormono, è ingenuo pretendere di affrontarlo con la scopa e il matterello. I potentissimi di questo mondo, gli straricchi, chi comanda, rischiano di rimanere contagiati da quella strana malattia che va sotto il nome di “delirio di onnipotenza”.
La tirannia della quantità e del potere per il potere, alla quale tanta gente sacrifica salute, tempo, affetti, amicizie, fede, ideali, prima o poi, ti mostra il suo volto arcigno. Non può dare quello che non ti ha mai promesso.
È primavera. Il creato, vanitoso, si rinnova. Nelle persone, prepotente, scoppia il desiderio di vivere. Desiderio che si ritrova a dover fare i conti con il contesto, la storia, l’attualità, le scelte politiche, le guerre. Che cosa possiamo fare perché la morte di migliaia di genitori, centinaia di bambini, possa almeno turbare il cuore di chi queste maledette guerre le vuole, le provoca, le decide, le fa combattere? Quali stratagemmi inventare perché la gioia vera, che viene dal rispetto delle persone, possa ammaliare anche coloro che hanno nelle mani le redini di questo povero e affascinate mondo? I credenti pregano, anche se la loro fede, sovente, oscilla, non demordono. Continuano a sperare anche quando sembra che sia del tutto inutile.
Come mai ci ritroviamo ogni volta, non dico al punto di partenza, ma a dover ricorrere alla forza bruta delle armi, perché incapaci di comprendere e ragionare? Certo, se tutti si armano, ti costringono a fare la stessa cosa. Ma c’è un’altra strada, tante volte auspicata e, purtroppo, mai realizzata. Rinunciamo a gettare alle ortiche miliardi di euro per produrre armi che a nessuno piace adoperare e riportiamo sul tappeto la vecchia, saggia, santa utopia di una sistematica riduzione degli arsenali. Tanto lo sappiamo, non saranno i depositi strapieni di esplosivi a regalarci la pace. Al massimo potranno giungere a ottenere una sorta di momentaneo cessate il fuoco. La pace è un’altra cosa. Puntiamo su questo, da ogni Paese, scendiamo in piazza, tutti, senza distinzioni, per richiamare ai loro veri doveri coloro che con una sola firma potrebbero ridarci la serenità.
Chiunque sa che anche gli sconfitti, i poveri, quelli che preferiscono il pane alle armi, i vecchi, gli ammalti, i bambini delle favelas e del deserto, hanno il diritto di vivere. È primavera. Facciamo questo regalo all’intera umanità. Ritroviamo la pace. Impariamo a vivere