di Sergio Di Benedetto - Vino Nuovo
Ma, oggi, è credibile un annuncio di risurrezione? Ci sentiamo forse molto simili a Paolo all’Areopago di Atene: quando parliamo di resurrezione, si fa il vuoto. Noi cristiani siamo stati molto bravi e molto ideologici nel dividerci le vesti del Vangelo; ma non ci siamo forse resi conto che abbiamo mancato troppo spesso di vivere la Resurrezione.
Il Dio in cui crediamo è incarnato, è morto, è stato deposto in un sepolcro dentro un giardino. Ma per fede, per pura (e difficile) fede, siamo chiamati a dare fiducia a una notte di Resurrezione, una notte in cui il Cristo è risorto.
Oggi questo è poco credibile; ma non lo era meno secoli e secoli fa. Lo ricorda, appunto, il racconto di Paolo di fronte ai sapienti di Atene: «Su questo ti ascolteremo un’altra volta» (At, 17, 32) […]
Allora abitare in pienezza il sabato santo significa abitarlo nell’attesa di una domenica in cui Dio irrompe, in modo inatteso; e ciò che accade è ben più della speranza, poiché nessuno degli uomini e delle donne che erano alla sequela di Gesù poteva realmente nutrirsi di quella speranza di resurrezione. Dopo la crocifissione c’era paura, c’era delusione, c’era smarrimento, c’era stordimento; così i due discepoli di Emmaus non nascondono i sentimenti che nutrivano, fino all’annuncio di Pasqua.
Chiediamoci perché la credibilità dell’annuncio di resurrezione è così debole, così fragile… allora, forse, scopriremmo che è la strada scelta proprio dal Figlio: la fede si propone, non si impone. Si manifesta e si nasconde, si rivela a pochi e poi scompare. Supera le attese, accende le speranze, ma poi si nega. Soprattutto, non si fa trovare dove i discepoli lo cercano: una tomba vuota, un sepolcro.
Egli sarà fuori, nel giardino; giungerà nella stanza chiusa per paure diffuse; si accosterà su una via verso Emmaus; starà su una riva del lago. Non è mai dove lo cercano, il Risorto.
Il sabato è anche il passaggio da una tentativo di circoscrivere Dio - è in una tomba, è avvolto in un lenzuolo - alla rottura di ogni cartografia religiosa: non possiamo dire dove Cristo non sia presente, non possiamo affermare dove egli è certamente assente, perché egli è anche là dove non si attende.
E per questo ci si mette in cammino, per questo non si chiudono tombe, ma si aprono vie. Così, forse, l’annuncio della resurrezione - così insolito, così poco credibile - può riacquistare vita, poiché si salda alla vita, che è sempre più misteriosamente grande dei nostri atlanti religiosi. Lo ricorda don Angelo Casati: «Affascinare gli altri di Gesù e del suo vangelo non significa certo richiudere Gesù in una tomba di codici e definizioni, ma aprire cammini dietro di lui».
Aprire cammini, aprire vite: non è questa l’azione del Risorto? Aprire sepolcri, aprire stanze chiuse, aprire cuori tristi, aprire nuove strade: siamo discepoli di una Resurrezione che apre, non di una grotta sigillata.
Annotava Madre Teresa di Calcutta, nel vivo del suo intenso dramma del silenzio di Dio, senza mai rinunciare al coraggio di guardare alla resurrezione: «Non lasciatevi turbare o angosciare, ma credete nella gioia della Resurrezione. In tutte le nostre vite, come nella vita di Gesù, la Risurrezione deve arrivare, la gioia della Pasqua deve sorgere».
L’augurio è di abitare il silenzio, per sentire nella notte la forza di una Resurrezione, per ascoltare e incontrare il vivere discreto e sorprendente del Risorto.